Gli ctenofori, i portatori di pettini.
Gli ctenofori sono animali poco conosciuti e difficili da osservare perché in
genere vivono in alto mare vicino la superficie o a grandi profondità negli
abissi marini. Non sono in grado di nuotare attivamente e, proprio come le
meduse, si affidano alle correnti per spostarsi da un punto all’altro. A volte,
in particolar modo nei mesi invernali, le correnti spingono gruppi di ctenofori
verso le coste. In queste occasioni, è possibile trovarli appena sotto il pelo
dell’acqua e osservare i loro corpi dalle caratteristiche uniche nel regno
animale.
In principio, gli zoologi inserirono gli ctenofori nel grande gruppo degli
cnidari a cui appartengono le comuni meduse, credendoli affini. Ma
successivamente, riscontrarono notevoli differenze e furono costretti a separare
gli ctenofori dalle meduse per collocarli in un piccolo gruppo a sé stante
costituito da poche decine di specie.
Il corpo degli ctenofori è trasparente, fatto quasi completamente d’acqua, in
genere di forma più o meno tondeggiante. Dalla porzione superiore (polo apicale)
a quella inferiore (polo orale), è attraversato da otto sottili bande
longitudinali dotate di serie di minuscole ciglia vibranti disposte una accanto
all’altra, come in un pettine. Non a caso, il nome ctenoforo deriva dal greco e
significa “portatore di pettini”. Le serie di pettini vibranti servono
all’animale per compiere piccoli spostamenti nell’acqua e mostrano meravigliose
iridescenze quando vengono illuminate dalla luce.
Molti ctenofori sono provvisti anche di due lunghi tentacoli con cui catturano
piccole prede planctoniche di cui si nutrono, in particolar modo larve di pesci
e gamberetti chiamati copepodi. A differenza dei tentacoli delle meduse, su
quelli degli ctenofori non esistono cellule urticanti ma cellule adesive,
chiamate colloblasti, che si attaccano alle prede catturandole. I tentacoli
portano, quindi, l’alimento alla bocca che si trova nella porzione inferiore del
corpo e si collega alla faringe che termina in uno stomaco dove avviene la
digestione.
Nella cavità corporea degli ctenofori, oltre allo stomaco, sono presenti gli
organi riproduttivi. Questi particolari animali sono ermafroditi e producono
contemporaneamente gameti femminili (uova) e maschili (spermi), che vengono
espulsi all’esterno attraverso la bocca. La fecondazione avviene, quindi, in
mare e origina larve planctoniche che metamorfosano successivamente in individui
adulti. A volte, avviene che si uniscano spermi e uova prodotti dallo stesso
individuo. Questo adattamento, chiamato autofecondazione, si rende necessario
per assicurare la riproduzione negli animali di alto mare che possono non
incontrare un partner con cui riprodursi.
Nel Mediterraneo esistono soltanto 34 specie di ctenofori. Le più comuni sono
Beroe ovata dalla forma ovoidale e
priva di tentacoli; il cinto di Venere
Cestum veneris simile a un nastro lungo più di un metro (qui
una foto di Angelo Salvatore), lo ctenoforo con i veli
Leucothea multicornis lungo fino a 20
centimetri, con appendici simili a veli e con il corpo ricoperto da papille
retrattili; lo ctenoforo di vetro
Bolinopsis vitrea di soli 7 centimetri. C’è anche uno ctenoforo alieno,
originario dell’Atlantico occidentale, introdotto negli anni ’80 nel Mar Nero e
successivamente segnalato nel bacino occidentale del Mediterraneo. Si tratta di
Mnemiopsis leidy, una vera e propria
calamità per il Mar Nero dove si è moltiplicato a dismisura e ha decimato le
larve planctoniche dei pesci, anche quelli di interesse commerciale, producendo
notevoli danni all’ecosistema marino e al settore della pesca.
Le fotografie sono state scattate l’8 dicembre 2016 in una baia della Marina di
Pulsano (TA) appena sotto la superficie dell’acqua e ritraggono esemplari
appartenenti probabilmente al genere
Bolinopsis.